E per la terza volta abbiamo visto Corpo Celeste. E ne siamo molto contenti.
E' il primo lungometraggio di Alice Rohrwacher -spero che si scriva così- a soli 29 anni e io la amo.
E' un film bellissimo sul crescere, sul crescere in un mondo che non sa capire le tue domande (il tuo linguaggio) e non sa darti le risposte, è un film sul cercarsi delle risposte, sul percorrere una strada, sul raccogliere oggetti-rifiuti ai bordi di una fiumara per costruire qualcosa.
E' un film sulla fede, su Gesù, sulla cultura-spazzatura televisiva che inonda anche quello che credevi sarebbe rimasto asciutto, sulla comunità. E' un film su una ragazzina selvatica che si muove con istinto e curiosità, "con gli occhi enormi degli agnelli irriverenti e meraviglia al mondo" direbbe Cesare Basile.
E' un film su UNA SPERANZA. Eli, Eli, lema sabactani?
E la direttrice di fotografia nonché operatrice di macchina è Hélène Louvart, non so chi sia ma io la amo. Guardare questo film significa capire cosa vuole dire avere in mano una videocamera e sapere dove puntarla.
E io la amo.
Si accendono le luci, si esce dal Cineporto di via Catania. Un manipolo di giovani commentano e discutono, uno dice la cosa più cretina che poteva -credo- in quel momento: Gli attori guardano in camera. Gli rispondono: Eh, dai, è una opera prima... POVERI NOI. Guardano-in-camera. POVERI NOI. A andar bene, saranno ragazzi che studiano cinema. E qui avrebbe ragione Lester Bangs: li rincontrerai tutti nel loro viaggio nella mediocrità.
Lo sai cosa dicevano di Gesù? Che era matto!
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